Torna “genitore” sulla carta d’identità: dove sono finiti mamma e papà?

Torna “genitore” sulla carta d’identità: dove sono finiti mamma e papà?

Il recente pronunciamento della Corte di Cassazione, che ha sancito il ritorno alla dicitura neutra “genitore” sulla carta d’identità dei minori, segna probabilmente un passo indietro per chi ritiene che i termini “padre” e “madre” rappresentino non solo un dato anagrafico, ma anche un valore culturale, umano e affettivo.

La scelta di rimuovere “padre” e “madre” dalla carta d’identità per far posto a un termine neutro, benché giustificata dalla necessità di tutelare situazioni minoritarie, rischia forse di stravolgere un modello di riferimento universale, che ha radici antropologiche, giuridiche e sociali profonde.

Ogni bambino nasce da un padre e da una madre. Questa verità elementare, oltre a essere biologica, è anche simbolica: madre e padre non sono solo funzioni, ma identità specifiche, relazioni affettive distinte e complementari, che rappresentano per ogni figlio due punti cardine insostituibili. La loro menzione sulla carta d’identità non è un privilegio né una discriminazione, ma un riconoscimento della realtà naturale.

Difendere la presenza di “padre” e “madre” sulla carta d’identità non è un gesto ideologico, ma una scelta di buon senso, che tutela l’identità dei bambini, riconosce la verità delle relazioni familiari e riafferma un modello educativo e sociale che continua a rappresentare la stragrande maggioranza della popolazione.

In un’epoca in cui si parla tanto di diritti, è fondamentale ricordare anche il diritto dei figli a sapere da chi provengono e a vedere riconosciuti quei legami originari che costituiscono la base della loro identità personale. Non si tratta di escludere nessuno, ma di non cancellare ciò che è alla base di ogni vita umana: un padre e una madre.

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