“Le Aree Interne non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza”.
È questa la frase – secca, glaciale – che si trova a pagina 45 del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021–2027, recentemente pubblicato in sordina dal Ministero per la Coesione. Come ha riportato Alfonso Scarano su “Il Fatto Quotidiano”, sembra che lo Stato abbia adottato una nuova linea: non più la lotta contro lo spopolamento, ma una sorta di gestione controllata del declino, con un “welfare del tramonto” che offre solo servizi minimi a una popolazione in invecchiamento, senza investimenti né speranze.
Questa prospettiva scuote profondamente anche il nostro territorio diocesano, in particolare il vescovo Giuseppe, che da anni si batte contro questo destino annunciato. Marciante è stato tra i primi vescovi in Sicilia a denunciare pubblicamente il rischio di desertificazione umana e sociale nei comuni delle Madonie, nell’entroterra palermitano e in tutto il territorio siciliano.
Già lo scorso anno, durante un incontro con i giovani dell’associazione South Working a Castelbuono, Mons. Marciante aveva lanciato un messaggio chiaro e profetico: “Esiste – ha detto – un problema nelle aree interne che si stanno spopolando. Dobbiamo lavorare per fermare questo fenomeno, pensando a nuove forme di comunità, nuovi modelli urbani e reti di servizi che possano sostenere le esigenze di giovani, famiglie e lavoratori”.
Parole che oggi risuonano più che mai, mentre una parte della pianificazione pubblica sembra scegliere la resa, piuttosto che la resistenza e la rinascita. In netta controtendenza con questa visione ministeriale, il vescovo di Cefalù continua a sostenere che le aree interne non sono un peso, ma risorse vitali, luoghi di spiritualità, cultura, tradizione e vera comunità. Durante la recente celebrazione a Caltavuturo, in occasione dell’inizio dei festeggiamenti in onore di San Calogero, Mons. Marciante ha ribadito il suo accorato appello: “Dobbiamo pregare San Calogero affinché il nostro territorio non si svuoti dei suoi giovani. Non possiamo permettere che paesi come Caltavuturo scompaiano”. Non si tratta solo di un grido spirituale, bensì di un’esortazione alla responsabilità civile.
Se lo Stato ha scelto di “accompagnare” i nostri borghi verso il declino, allora le Chiese locali, insieme alle comunità, ai giovani, agli amministratori e ai movimenti civici, hanno il compito urgente di riaccendere la speranza, immaginare nuove economie, nuove reti di solidarietà, nuove forme di cittadinanza attiva. Perché come ha ricordato il Vescovo Marciante, “non possiamo rassegnarci. L’abbandono delle nostre comunità non è un destino, ma una scelta. E ogni scelta può essere cambiata”.