“Quell’uomo che parte vestito di bianco…” recitava il verso di Amedeo Minghi, in un suo celebre omaggio a Karol Wojtyła, un Papa pellegrino tenace e perseverante, sempre pronto ad abbracciare le genti, offrendo conforto, promesse di bene e affetto.
Quel bianco, simbolo di purezza e limpidezza, quasi una luce tangibile, lo ritroviamo forte e vivido nelle divise di chi dedica la propria vita ad alleviare sofferenze e debolezze umane. Sono i medici, gli infermieri, i sanitari: uomini e donne che toccano con mano i mali, le angosce, curano le piaghe del corpo e dell’anima. Quel bianco è senza alcun dubbio il marchio di un servizio devoto, compassionevole e silenzioso.
Qualche giorno addietro, nel vedere il nostro vescovo con addosso quel camice, il pensiero è volato subito al rispetto, spesso messo da parte, quasi calpestato, per la salute. Un rispetto che è sinonimo di vita. Vita vera. Perchè dove c’è cura, c’è amore. E dove regna l’amore, c’è Dio. Tuttavia, troppo spesso questa vita viene tradita. Tradita da un’indifferenza che gela, da logiche di guadagno che schiacciano il diritto alle cure, offuscando la dignità per riempire le casse con denaro sporco, macchiato dal sangue degli innocenti, ce lo testimoniano gli attuali conflitti.
Il vescovo in camice bianco non è pertanto una figura simbolica. È un richiamo vibrante al cuore della Chiesa, una madre accogliente, sempre presente, che non volta le spalle al dolore ma lo affronta, riconoscendo in ogni volto afflitto, quello di Cristo. Un reale invito a riscoprirci umani, a non dimenticare i malati, gli ultimi, i più vulnerabili. In tal senso, tornano subito alla mente le parole di Papa Francesco pronunciate durante un’udienza pubblica nel novembre del 2016: “Quando è fatta nel nome del Signore, (la vicinanza ai malati) si trasforma in un’espressione eloquente ed efficace di misericordia. Non lasciamo soli i malati! Non neghiamogli la possibilità di trovare sollievo, e a noi la ricchezza che deriva dalla vicinanza a chi soffre. Gli ospedali sono vere e proprie “cattedrali del dolore”, dove si manifesta la forza della carità che sostiene e consola”.
Queste “cattedrali”, sono ineffabilmente luoghi sacri del quotidiano, scrigno di speranza per l’umanità. E un ospedale nel cuore delle Madonie è, come ha detto il vescovo Giuseppe: “una grazia divina e un baluardo di Speranza”. Non deve essere ignorato. Va invece difeso, supportato, rafforzato, perché la montagna, così come i suoi abitanti, con la sua quiete e bellezza, merita la stessa dignità dei centri urbani. Ha diritto alla cura. Come dice il Salmo 93, al versetto 4: “Piú delle voci delle grandi, delle potenti acque, piú dei flutti del mare, il Signore è potente nei luoghi altissimi”.
Ed è proprio lassù, sulle nostre amate Madonie, che questa luce di carità, speranza e grazia deve continuare a splendere, lo ha ribadito il vescovo Giuseppe: “La consolazione del Signore è veritiera, non inganna. Non è un anestetico, ma è vicina, è veritiera e ci apre le porte della speranza. Nulla ci separerà dall’amore di Cristo, nemmeno la tribolazione, la persecuzione o la morte. Un ospedale vicino, lo ripeto, è una grazia di Dio; è un presidio di speranza”. Non possiamo pertanto lasciare che questa speranza si affievolisca, dobbiamo invece alimentarla con coraggio, responsabilità e lungimiranza. Perché lì, tra le cime, vivono comunità orgogliose, ricche di storia e valori, e quei luoghi, custodi delle radici di chi vi abita, meritano un futuro degno.
Giovanni Azzara