Le aree interne della Sicilia – che rappresentano il 75% dei Comuni dell’isola – sono al centro di un’emergenza silenziosa ma drammatica: spopolamento, invecchiamento della popolazione e impoverimento dei servizi essenziali. Il nuovo Piano strategico nazionale per le aree interne (PSNAI) 2021-2027, approvato dal governo, delinea un futuro preoccupante, dove si ammette, senza mezzi termini, che in molti territori “non è possibile invertire la tendenza al declino” e si suggerisce di accompagnarli in un lento ma “dignitoso” processo di estinzione demografica.
Un’analisi cruda, aggravata dalle conclusioni del CNEL che, nel suo report parallelo, evidenzia le gravi falle strutturali del progetto SNAI: governance disorganica, mancanza di competenze nei piccoli Comuni, fondi europei e PNRR gestiti senza una visione unitaria. Ne emerge un quadro nel quale le aree più fragili sono rimaste escluse dalle opportunità di rilancio, sempre più isolate e incapaci di trattenere giovani o attrarre nuovi residenti.
La questione, però, è più profonda e affonda le sue radici nel modello di sviluppo adottato nel dopoguerra: un’Italia sbilanciata che ha marginalizzato il Mezzogiorno e le sue zone interne. L’industrializzazione e la spinta verso le grandi città hanno determinato una seconda, silenziosa, emigrazione che oggi ha portato interi paesi a svuotarsi. In Sicilia, è come se fosse scomparsa una città intera: oltre 20.000 abitanti in meno in pochi anni solo in una provincia.
Ma questo processo non è solo umano: la perdita di popolazione comporta anche l’abbandono di interi territori agricoli e boschivi, la scomparsa della manutenzione ambientale, l’aumento del rischio idrogeologico e il degrado dell’ecosistema. Intanto, i servizi pubblici si riducono, le scuole chiudono, gli ospedali vengono depotenziati, i trasporti spariscono, rendendo le aree interne sempre meno vivibili.
Secondo l’analisi più critica, questo non è solo un problema tecnico o amministrativo, ma un enorme nodo politico, nazionale e strutturale: trattare le aree interne come “zone a parte” da gestire con piccoli progetti sperimentali ha fallito. Serve invece una svolta epocale, una visione alternativa di sviluppo fondata su giustizia territoriale e su un nuovo patto sociale e generazionale.
In assenza di ciò, la Sicilia – come molte aree del Sud – rischia di diventare un enorme deserto demografico e civile, utile solo come territorio da consumare turisticamente o da destinare a nuove servitù militari. Se non si agisce ora, quel “declino accompagnato” potrebbe diventare definitivo.
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